A Villar Dora, il primo comando partigiano della Valle di Susa.
A cavallo tra l’autunno 1943 e fino alla primavera del 1945, Villar Dora ebbe un ruolo decisivo nella lotta partigiana valsusina contro l’oppressione nazifascista.
Fra i villardoresi della prima ora, che non ebbero dubbi circa la via da intraprendere dopo l’8 settembre 1943, troviamo Cristoforo Giorda, detto “Vigiu”, che ospitò nella propria abitazione il primo comando partigiano della Valle di Susa voluto dal CLN torinese.
"La necessità di rendere organiche le attività della Resistenza locale indusse presto il Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Torino a fare pressione sui capi delle bande affinché formassero un Comando militare unificato, ciò che avvenne il 17 ottobre. Del Comando, con sede a Villar Dora, fecero parte il maggiore Egidio Liberti (Valle), il tenente Giancarlo Ratti, l’ingegnere comunista Sergio Bellone e il cappellano militare don Francesco Foglia.”
Nel libro “I NONNI RACCONTANO” pubblicato dal Gruppo Culturale Villardorese, Cristoforo Giorda ricorda quei momenti:
«Inquadrato nel 4º Alpini di presidio in Francia, richiamato e già padre di due bambini, fui aiutato dai francesi stessi nel valicare il Moncenisio e ritornare a casa dove, comprendendo immediata mente che urgeva organizzarci per resistere al tedeschi, siamo saliti sulla collina della Seja per portarci via una cinquantina di moschetti rendendo nel contempo inservibili i cannoni. Eravamo una dozzina, qui dal paese armati e nascosti prima nei boschi poi alla Clarmelia. Nel frattempo avevo preso contatto con Alessio e Felice Cima (ucciso poi dai nazifascisti a Caprie) incominciando subito a far saltare i tralicci in modo da togliere la corrente elettrica sino a Torino. Il primo Comitato di Liberazione della Valle è nato qui, in casa mia (Borgata Suppo). La gente del paese sapeva di questi movimenti, ciononostante, non fece mai la spia. C’era un via vai continuo di partigiani, diventata peraltro magazzino per armi e viveri. (…) Ricordo che un giorno sono arrivati in casa mia tedeschi e cecoslovacchi; avevo il mitra nascosto dietro la macchina da cucire di mia moglie. Fortunatamente nel vedere i miei due bambini piccoli si sono commossi e, dopo aver mangiato un po' di castagne, se ne sono andati. Un prigioniero inglese evaso, certo Edward, siccome era ammalato, l'ho tenuto nascosto parecchio tempo in casa. Tutti in paese, sapevano ma nessuno denunciò il fatto ai fascisti”
La "smilitarizzazione" della Seja.
Durante la seconda guerra mondiale sulla Collina della Seja, che sovrasta l’abitato di Villar Dora, venne installata una batteria antiaerea con numerose costruzioni e magazzini per le guarnigioni militari che presidiavano quella località all’imbocco della Valle di Susa, un punto ritenuto strategico fin da epoche remote.
Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943, come ha già accennato da Cristoforo Giorda, si vissero momenti drammatici, «C'era una batteria antiaerea sulla Seja ed una compagnia di artiglieria nei prati vicino a Borgata Baratta (Prà Grisa) - racconta Angelo Brunatto -, la prima ad abbandonare tutto è stata quella compagnia. Molti villardoresi prelevavano tra le cose abbandonate quello che serviva loro. Ci andai anch’io assieme a Cristoforo Giorda ("Vigiu"), Insieme prelevammo due casse di bombe a mano Balilla-Breda, le portammo nel prato vicino a casa e le seppellimmo in un mucchio di foglie e terriccio. Quando prendemmo quelle casse di bombe a mano - prosegue Angelo - Vigiu disse: «Vedrai che serviranno». Fu buon profeta. «Guarda che il peggio deve ancora venire», ammoniva in quei giorni che seguirono la resa dell'8 settembre 1943, quanto tutti erano in festa, convinti che la guerra fosse finita.
Due giorni dopo, vedemmo che anche i soldati della batteria contraerea se ne erano andati. Restavano però a guardia della batteria il comandante (un capitano) con alcuni ufficiali, con l'intento di consegnare la batteria in perfetto ordine ai tedeschi. " Vigiu" mi disse: «Andiamo su a vedere cosa intendono fare questi signori» e ci avviammo su a piedi per i boschi sino alla caserma, tutta costruita in legno. Era una giornata calda, Vigiu aveva una maglietta senza maniche. Vedemmo uscire dalla porta della casermetta un tenente con in mano un frustino da cavallerizzo. Ci chiese cosa volevamo.
Vigiu si avvicinò e chiese quali intenzioni avevano, visto che la truppa si era sbandata. Rispose il tenente che sarebbero partiti dopo aver consegnato la batteria ai tedeschi. Vigiu rispose che le cose si sarebbero messe male per loro se lo avessero fatto. Per tutta risposta il tenente gli diede un colpo con il frustino sulle braccia e poi rientrò chiudendo la porta. Ricordo ancora il livido lasciato dal frustino sulle braccia di Vigiu. Ritornammo a casa, tirammo fuori dal nascondiglio una cassetta di bombe, apertala, Vigiu ne prese due e ritornammo su. lo mi fermai prima, lui proseguì sino ad una decina di metri dalla casermetta. Restammo in attesa che qualcuno uscisse. Dopo un po la porta si aprì ed uscì il tenente di prima, ma appena vide Vigiu rientrò e chiuse la porta. Pochi istanti dopo la porta volò via per lo scoppio di una bomba che Vigiu le aveva lanciato contro. Poi ce ne tornammo a casa.
Il mattino seguente la batteria era abbandonata, i suoi ultimi custodi se ne erano andati nella notte coi loro cavalli. Quel giorno, in un certo modo, era cominciata a Villar Dora la Resistenza.
Poco tempo dopo, il comando tedesco ed il governo fascista repubblicano ordinavano a tutti i soldati che avevano abbandonato le armi, ed ai giovani di leva di presentarsi al più vicino comando tedesco o fascista per continuare a combattere il nemico sino alla impossibile vittoria finale. Coloro che non si presentavano, se venivano presi, sarebbero stati deportati in Germania, nei campi di concentramento, oppure passati per le armi.
Fu proprio in questo periodo - dice Angelo - che qui a Villar Dora, Vigiu, insieme a Felice Cima ed Alessio Maffiodo formò il primo gruppo partigiano esistente in Valle Susa, raggruppando i primi sbandati che volevano combattere contro il governo fascista e l'occupante nazista».
Il sabotaggio del ponte dell’Arnodera
Vittorio Blandino, protagonista di molte azioni partigiane, ha spesso raccontato la storia di uno del più audaci atti di sabotaggio compiuti dai partigiani in vallata. Ne diamo qui una breve sintesi, La ferrovia Torino-Modane, dopo I'8 settembre 1943 rappresentò per il comando germanico la via più comoda di comunicazione fra le zone occupate dell'Italia settentrionale e la Francia, per cui ogni giorno vi transitavano più di 20 treni merci carichi di armi, in arrivo, e di beni diversi razziati in Italia. Non casualmente, nell'intento di evitare questo transito, subito dopo l'armistizio, un ufficiale del
Genio Militare italiano aveva fatto saltare un tratto della galleria del Frejus bloccando per oltre un mese il traffico, Il Comitato militare del C.L.N, Piemontese, preoccupato della situazione, convocò a Torino il Comando militare unificato della Valle che ricevette dal Generale Perotti le direttive per azioni di sabotaggio alla ferrovia.(…)
Dopo alcuni altri tentativi lungo la ferrovia l'ing. Bellone e don Foglia decisero di far saltare il ponte dell’Arnodera (Gravere). L'operazione ebbe inizio ancora a Villar Dora da dove, successivamente ad alcuni tentativi falliti, partì Vittorio Blandino con vari quintali di dinamite nascosta in una botte per liquami. Il tragitto fu assai avventuroso considerando il frequente transito di colonne tedesche, soprattutto quando alcuni colpi sparati dei tedeschi stessi colpirono la botte con il conseguente rischio di esplosione. Finalmente Vittorio arrivò a Mompantero dov'erano in attesa parecchi partigiani per trasportare poi, nei giorni di 27 e 28 dicembre, l'esplosivo presso il ponte dell'Arnodera dove, previo lo scavo di diverse buche, furono collocate le cariche. All'una del 29 dicembre 1943 Don Foglia, l’ing. Bellone, Vittorio Blandino e Remo Bugnone (un'altra figura di partigiano villardorese molto attivo, per le sue conoscenze di chimica nelle operazioni di sabotaggio) fecero brillare le mine distruggendo il ponte per una lunghezza di 62 metri. Il risultato ottenuto fu eccellente e ritenuto dallo stesso comando tedesco un'opera d'arte ed il più importante sabotaggio ferroviario effettuato sino ad allora nell'Europa occupata. Per circa tre mesi tutto il traffico ferroviario dei tedeschi fu così interrotto.
Vittorio Blandino verrà successivamente arrestato dai nazifascisti e conoscerà le torture nei locali della famigerata via Asti a Torino.
Fuggito, tornerà a combattere valorosamente nelle file della Resistenza, rendendosi protagonista di varie importanti azioni tra le quali l'assalto ai depositi dello stabilimento dell'Areonautica di corso Marche a Torino.